… se al professore cade l’occhio

In questi giorni stavo già preparando un post sui problemi del femminismo, purtroppo è lungo e complicato e la mia recente passione per il giardinaggio di bonsai su youtube mi ha impedito di completare l’opera. Ma ora se ne esce quest’altra protesta che, a mio avviso, ha pro e contro. Intanto raccontiamo la storia…

IL FATTO
Primo giorno di scuola al liceo Socrate di Roma, Garbatella. In attesa dei banchi, in alcune aule fanno lezione sulle sedie, come in tanti altri istituti (famosa la figuraccia di Toti che cercò di strumentalizzare una foto di una scuola che mostrava dei bambini in ginocchio). Gli studenti, e le studentesse, risultavano quindi totalmente visibili dalla cattedra (intendendo per tutta la durata della lezione, perchè ehy, un banco non ti copre come un burqa).
Tutto normale, ma la vicepreside (una donna) ha un’ideona: mandare un messaggio in cui si invita a non indossare la minigonna a scuola “altrimenti ai professori cade l’occhio“.
Questo ha provocato l’indignazione delle studentesse che ha fatto il giro sui social fino a sfociare nella manifestazione: si sono presentate tutte con la gonna e le gambe scoperte e han appeso cartelli in giro per l’istituto in cui denunciavano il fatto con frasi tipo “Non è colpa nostra se gli cade l’occhio. Stop alla violenza di genere“.

LA MIA RIFLESSIONE (deh, oh, il blog è il mio)
In questa protesta c’è tanto di giusto, e tanto di sbagliato. In breve, reputo giusta la protesta, e anche il modo di protestare, ma penso che, per quanto non sia sicuro che ciò che di sbagliato provenga dalle studentesse o dall’interpretazione della protesta che ho letto, ci siano tante cose che rendono anche questa manifestazione pseudofemminista sbagliata negli ideali.
Mi spiego: è giusta l’indignazione per la frase della vicepreside! Giustissima! Ma davvero il problema della gonne è che al professore, un adulto laureato di una certa età, possa cadere l’occhio sulle fattezze di una liceale? E anche fosse, stiamo rigirando la colpa sulla vittima: se il professore guarda le ragazzine, il problema NON sono le ragazzine, è il professore.

Quindi sì, la protesta, e quella frase “non è colpa nostra se gli cade l’occhio” fanno centro: dobbiamo smetterla di ragionare in questo modo. Un abbigliamento non giustifica una molestia (inoltre lasciatemi dire che se il problema è vedere due cosce, di questi tempi, come essere umano sei anche messo un pò male).

D’altra parte c’è anche un altro messaggio, che molti stanno lanciando, ed è quello della libertà di espressione, della libertà di scelta del proprio outfit, della libertà di… Cito un pezzo di un articolo a riguardo di questo fatto, dove si parla di una amica di una ragazza ripresa dalla vicepreside per il suo abbigliamento:
La ragazza ha comunque precisato che quello portato dall’amica non era un indumento troppo scoprente, ma “una gonna normale, morbida. E che comunque, a prescindere da tutto, era il suo modo di esprimersi”.
No, non a prescindere da tutto. Perchè è questo quello che ritengo sbagliato della protesta: il suo modo di esprimersi deve essere coerente con le regole (scritte e non) del rispetto del luogo in cui sta, in questo caso una scuola.

Una scuola deve formare un individuo anche in termini comportamentali, e il rispetto dell’istituzione e il rispetto verso gli altri ne fanno parte. Questo vuol dire che sia i maschi che le femmine sono tenuti ad avere un abbigliamento consono quando sono in classe. No alle minigonne o ai top troppo scollati, così come no per i maschietti ai pantaloncini troppo corti, o ai culi di fuori (dico per i maschietti, con quella moda dei calzoni abbondanti un pò da rapper) o ad altre cose che suvvia, a scuola dovrebbero essere proibite. Ancora, col discorso della libertà di fare qualcosa, si mina un valore che poi rende la società piena di gente che in virtù dei propri diritti, dimentica i propri doveri e pretende sempre più diritti a discapito degli altri (in questo caso del rispetto verso gli altri, siano essi persone o istituzioni o cose).
Andreste a un funerale in minigonna o coi pantaloni che vi scendono sotto le chiappe? E se (lo spero) non ci andreste, perchè volete andarci a scuola?

Per far capire meglio questo concetto, io mi domando ancora come mai sul posto di lavoro un maschietto è generalmente (non sempre, ma praticamente sempre se può entrare in contatto con clienti) tenuto a tenere i pantaloni lunghi (ok, a volte anche la camicia) mentre le donne possono andare in minigonna e sandali. E siccome so perchè l’uomo non può andare in pantaloncini corti, la domanda diventa piuttosto “perchè l’uomo deve mostrare rispetto al cliente mentre è considerato rispettoso per la donna andare vestita come le pare?“. Ok, la questione potrebbe complicarsi un pò perchè questa usanza potrebbe avere una qualche origine medioevale…

Quindi credo che, dal mio punto di vista, tutto questo sia stato semplicemente uno sbaglio di comunicazione, niente a che vedere con il maschilismo e il femminismo: la vicepreside ha mandato un messaggio sbagliato per una richiesta lecita.
Vi lascio la mia stessa opinione descritta in breve da un portavoce del M5S (io li odio, ma condivido questa posizione e l’ho trovata citata su un articolo)

La corretta comunicazione a scuola è fondamentale. Suggerire a studentesse e studenti, ma anche agli insegnanti, un…

Pubblicato da Vittoria Casa su Venerdì 18 settembre 2020

Per oggi è tutto. Stay tuned!

I #Negazionisti, i #nomask, i #novax e la crisi della scienza

Abbiamo avuto un lockdown globale che è stato molto duro, persino durante il lockdown gli psicologi parlavano delle ripercussioni che questo avrebbe avuto sulla gente, compreso la paura di tornare a una vita normale che si riassume nella “sindrome della capanna“. Ma la sindrome della capanna non è la sola conseguenza del lockdown: gente “studiata” ha fatto un elenco molto interessante delle ripercussioni psicologiche, che comprende ansia e noia (ovviamente), frustrazione, paura ossessiva della contaminazione, stress e nervosismo, lo shopping compulsivo per non rimanere senza beni di primaria necessità, perdita di fiducia nei confronti delle fonti ufficiali di informazione e tutto questo può sfociare in situazioni peggiori nei casi delle persone psicologicamente vulnerabili.

I negazionisti sono quindi un parto della nostra risposta alla pandemia. Ma non tutti sono diventati negazionisti o novax come conseguenza della pandemia. Durante il lockdown eravamo bombardati da notizie di tutti i tipi, anche contrastanti, anche da professionisti (del resto si sa, il genio non esiste, e a volte è un idiota). In questo scenario i maestri della disinformazione hanno avuto un seguito elevatissimo, alcuni facevano in poche ore milioni di visualizzazioni su youtube, più di quanto molti video famosissimi che conosciamo abbiano fatto o faranno mai. Alcuni messaggi, per quant vergognosamente sbagliati, hanno avuto un ottimo appiglio nella scarsa conoscenza della gente in tema di medicina, virologia, buon senso e principalmente scienza, favoriti anche dal sentore di confusione che la scienza tradizionale mostrava, essendo all’oscuro di molti aspetti della pandemia.

Ma quando nel titolo parlo di crisi della scienza non mi riferisco affatto al fatto che, ovviamente, non sappiamo tutto. Mi riferisco invece al fatto che la scienza funziona benissimo con gli scienziati, ma se il metodo scientifico non viene capito dal popolo comune, ci ritroviamo che la scienza può essere manovrata dalla comunicazione, e rischiamo che l’1% dei scienziati, pure in malafede, hanno il seguito del 90% della popolazione, solo perchè dice loro quello che vogliono sentirsi dire. “La scienza non è democratica“, come dice spesso Burioni (che io non stimo, ma non per questo dice cose sbagliate), la velocità della luce non si decide per alzata di mano (– Piero Angela), quindi dire una cosa, o meglio, avere una opinione sulla scienza, non rende quell’opinione vera. La crisi della scienza è di non sapere comunicare a chi di scienza non si intende. Noi dovremmo fare studiare il metodo scientifico alle scuole medie: come una teoria scientifica diventa accettata, e come può essere tutto rimesso in discussione.

In questo periodo stiamo assistendo a manifestazioni #nomask, contrari all’uso della mascherina, a cui si sono aggiunti tutti i complottisti migliori: #novax, negazionisti e chissà chi altro. La prima (almeno, quella di cui sono a conoscenza) si è svolta a Berlino: sono stati più di 18 mila, tra cui novax, estrema destra (ma perchè? nel senso, cosa ci azzecca la politica con un movimento negazionista?), Robert Francis Kennedy Junior, nipote dell’ex presidente americano, rappresentanti del movimento QAnon (movimento nato da un utente di 4chan che si spacciava per persona che aveva accesso a documenti segreti, che dice che Trump stia combattendo contro i poteri forti, o Deep State)… insomma, tutta bella gente.

La seconda si è svolta a Roma ieri. Solo 1500 protestanti, ma tutte le migliori menti l’han sostenuta: Forza Nuova (organizzatori), Michelle Ferrari (pornoattrice), QAnon, «Popolo delle Mamme», no-vax, «Gli amici di Hulk», sovranisti, commercianti in crisi, Sara Cunial, la deputata No-Vax cacciata dal Movimento 5 Stelle, e Davide Barillari, anche lui ex-5 stelle. Povia, che è diventato il Signore del Complottismo, dopo aver vinto con la tristezza il Festival Di Sanremo ed essere poi stato dimenticato da tutti, ha fatto sapere che non ci sarebbe stato.

Per la millesima volta: NON CI SARÒ. MI MERAVIGLIO DEI GIORNALI. Non potrei mai andare in piazza con chi crede che il…

Pubblicato da Giuseppe Povia su Giovedì 3 settembre 2020

Anche il generale Pappalardo e i gillet arancioni, così come Vittorio Sgarbi, non ci sono andati, per ovvia avversione a Forza Nuova.

Si dovrebbe parlare di più di tali manifestazioni. Ma forse lo farò in un prossimo post. Stay tuned!